lunedì 15 dicembre 2014


Accendere il desiderio del sapere

Mi è capitato di sentire una lezione di Massimo Recalcati nel settembre scorso, al festival della filosofia, nella piazza adiacente al duomo di Modena; ero in compagnia di alcuni docenti del nostro Istituto e di una quarantina di studenti che avevano aderito all’invito di partecipare ad alcuni eventi della manifestazione. L’interesse che lo studioso - per la precisione “psicanalista”, autore di vari testi che indagano su fenomeni rilevanti della nostra società attuale (scomparsa del desiderio, scomparsa del padre) - ha acceso in me, ma anche, come ho potuto percepire dal silenzio e dagli applausi calorosi, in tutti gli ascoltatori, è stato molto forte e coinvolgente.
Avevo già avuto occasione di leggere alcuni suoi articoli sul quotidiano “La Repubblica”, che mi erano apparsi acuti, ma non mi ero mai avventurato nella lettura di un suo libro. Il coinvolgimento emotivo e intellettualmente stimolante della sua comunicazione appassionata mi ha spinto ad approfondire la conoscenza del suo pensiero e la scelta, direi spontanea e quasi scontata (visto l'argomento trattato), è ricaduta su un volume da poco uscito, dal titolo provocatorio e, per certi versi, spiazzante; “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”, Einaudi Editore, agosto 2014.
Ho ritrovato in esso, in forma più distesa e analitica, temi che aveva affrontato nel suo intervento, in particolare: come vivere in una società in cui il padre si è eclissato, spesso anche fisicamente, ma soprattutto in relazione al ruolo e alla funzione che la sua figura di “pater familias” ha esercitato nella società occidentale fino a pochi anni fa? Com’è possibile educare in una società in cui il principio di autorità sembra essersi dissolto ad ogni livello, come si può constatare in modo lampante nel contesto temporale e spaziale in cui stiamo vivendo?
La prospettiva adottata dall’autore non è genericamente educativa, ma investe appieno la funzione del docente, proiettandola in una luce probabilmente, almeno per molti aspetti, controcorrente, ma andando – credo - al cuore autentico di quella che, in questo periodo, viene denominata “buona scuola”. Qual è la tesi fondamentale attorno alla quale ruota tutto il volume, che si lascia leggere come un romanzo?
E’ finito il tempo in cui la sola entrata in classe dell’insegnante, come analogamente in famiglia del padre, faceva calare il silenzio. La società tradizionale, ancorata ad istituzioni solide e non “liquide” come quelle attuali, garantiva all’autorità costituita - a qualsiasi livello: casa, scuola, chiesa, partito, stato e a prescindere dall’effettiva autorevolezza dei soggetti rappresentanti - un valore simbolico e reale indiscutibile che il vento del ’68 e quello del nichilismo successivo hanno spazzato via (in modo irreversibile?) sia nei suoi eccessi (autoritarismo) sia anche nelle sue manifestazioni fisiologiche, necessarie, positive. La liberazione tout court dall’autorità - così come è avvenuto per la liberazione dai tabù del passato, dai freni posti alla soddisfazione immediata e totale del piacere, che ha lasciato spazio all’affermazione di un godimento privo di desiderio - contrariamente alle aspettative, non ci ha lasciato più liberi, più felici, ma nudi, indifesi e, almeno in parte, impotenti.
Sostiene Recalcati che, per il bene della persona e della società,  non si può cancellare la "Legge" né si può eliminare l’esperienza del limite; non tutto deve essere possibile - come invece viene auspicato nell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari -, bisogna resistere alla sirena perversa del “Perché no?”. Va (ri)stabilito un giusto equilibrio tra legge (principio della realtà) e desiderio (spinta dal piacere).
In assenza di questo riallineamento, l’educazione rischia di diventare “impossibile”(A che pro impegnarsi, faticare, studiare? Perché dovrei ascoltare e rispettare i miei insegnanti, in un contesto in cui si irride di tutto e di tutti? Dove il “particulare” e la legge del più furbo costituiscono la cifra della koinè attuale?) e di venire risucchiata in un processo di desertificazione assoluta, morale e sociale.
Qual è la via che l’autore intravede?
Dalla scuola-Edipo (della coercizione, della correzione repressiva, del sapere trasmesso in modo unidirezionale ed oggettivo-standardizzato) si è passati ad una scuola-Narciso (il docente “amicone”, corrivo nel linguaggio e negli atteggiamenti; lo studente difeso a “priori” da genitori iperprotettivi, spavaldo e spaccone apparentemente, ma fragile psicologicamente, incapace di sopportare e reagire le/alle frustrazioni e gli/agli insuccessi), che evidenzia però vistosi segni di inadeguatezza; è necessario compiere un successivo passaggio, verso una scuola-Telemaco, che vada alla ricerca del padre assente. Fuor di metafora: non è possibile (né auspicabile) ripristinare l’autorità di un tempo, ristabilire la figura del docente-padrone che impone e dispone in virtù semplicemente del peso simbolico del proprio ruolo. Ogni insegnante deve conquistare la fiducia e l’ammirazione dei propri studenti, grazie alla forza e al fascino della propria parola, e riuscire a compiere un transfert dei processi attivati dalla propria persona ai saperi, trasformando le conoscenze in oggetti-corpi erotici.
Si tratta di un passaggio cruciale che consente di mettere a fuoco l’essenza dell’insegnamento.
L’autore lo illustra ricorrendo alla scena, di cui è protagonista Socrate, nella parte iniziale del dialogo di Platone “Simposio”; il filosofo partecipa ad un banchetto, insieme a vari illustri intellettuali e sapienti, per discutere sulle virtù di Eros, organizzato da Agatone. Di fronte all’invito del padrone di casa di sedersi vicino a lui - il quale pensa, grazie alla vicinanza fisica del maestro, di potere assorbire la sua sapienza -, Socrate fornisce una risposta  spiazzante: non è possibile trasferire il sapere da un contenitore pieno (la testa di Socrate, ossia del maestro) ad uno vuoto (la testa di Agatone ossia il discepolo). Il compito del maestro non è quello di riempire un vuoto, ma quello di aprire la mente, di fare vuoto, spazio a nuovi mondi, al piacere della scoperta, affinché il discepolo prenda l’iniziativa, avvii una ricerca che lo possa portare a costruire il sapere. Non vi è un sentiero pre-tracciato dal maestro che possa essere seguito, ma ogni discepolo deve trovare il proprio, che verrà allo scoperto solo una volta avviata la ricerca del sapere.

E’ una prospettiva auspicabile e nel contempo realistica?